Nel mio lavoro di guida turistica ho il privilegio di ritrovarmi spesso a narrare storie affascinanti che riguardano la incantevole città di Napoli, così unica e sempre pronta a far parlare di sé, soprattutto quando si tratta di sensazionali scoperte archeologiche che ammaliano più di una sirena. L’archeologia, si sa, è una scienza in continua evoluzione, sempre alla ricerca di altre verità nascoste nelle viscere della terra, ed è affascinante. Quando si parla di Napoli, poi, archeologia fa sempre rima con magia. In modo particolare quando le scoperte avvengono in quel piccolo luccicante porto di Santa Lucia, proprio davanti all’isolotto di Megaride, dove è il famoso Castel dell’Ovo, legato esso stesso alla magia di un uovo.
Nel porticciòlo di Santa Lucia, recentemente, tra un flutto e un altro, i marinai si sono accorti della presenza di un tunnel sotto il mare dove si vedevano chiaramente delle costruzioni. Parlandone e riparlandone, le loro storie hanno incuriosito gli archeologi che qui hanno trovato chiari segni del porto dell’antica città di Parthenope che sorgeva, in alto, sulla retrostante collina. E forse hanno ritrovato addirittura i resti di quel famoso villaggio chiamato Phalerum (Falero), che era stato fondato dal condottiero Eumelo Favelo, padre di una fanciulla di nome Parthenope, e che secondo gli antichi, era stato il primo agglomerato urbano costruito sulla collina di Pizzofalcone, a quell’epoca unita ancora all’isolotto di Megaride.
I primi greci che qui erano giunti, infatti, vivevano in quelle grotte chiamate “platamonie” che ancora oggi sono visibili sotto il Monte Echia, in quell’area nota come Pizzofalcone. Le “platamonie” erano grotte scavate nella roccia dall’erosione dell’acqua che vi scorreva. Esse furono poi ampliate dagli stessi greci che le portarono ad altezze vertiginose, fino ad arrivare anche ad oltre 35 metri, per estrarre la pietra e con essa costruire la città in alto, su quel “pizzo” della montagna che Carlo I d’Angiò battezzò poi, nel XIII secolo, come Pizzofalcone.
Secondo le ultime ricognizioni, i primi greci avevano costruito una strada in salita, dei canali scavati in forme trapezoidali, simili a quelli ritrovati a Cuma, e sembra che queste costruzioni in riva al mare fossero dei veri e propri avamposti militari che si trovano ora a circa 6 metri sotto il livello del mare di Santa Lucia. E’ da considerare che un tempo il mare avanzava fino a raggiungere l’area del Chiatamone (corruzione di “platamonie”) e addirittura, verso ovest, la piazza dei Martiri nei cui pressi sono ancora visibili alcune spelonche. Le “platamonie” furono utilizzate poi come luoghi di culto, dove vennero eretti i templi di Serapide, di Mithra e di Venere, ed in epoca romana, furono usate persino come vere e proprie terme per la presenza di sorgenti sulfuree. Ma dette “platamonie”, tra riti cultuali e terme, erano talmente suggestive da ispirare anche altro e finirono per diventare luoghi di delizia, non mancando usi un po’ più eccentrici come vere e proprie orge in onore di Priapo, figlio di Venere, che furono proibite solo dopo diversi secoli, in epoca vicereale, quando don Pedro de Toledo decise di chiudere le ampie caverne per porre fine a quelle “scandalose abitudini” dei partenopei.
Attualmente non vi sono più resti della vecchia città di Parthenope e le “platamonie” sono diventate in alcuni casi garage e parcheggi oppure abitazioni, ma risalendo le rampe di Pizzofalcone, chiamate anche di Lamont Young, si può ancora avere una chiara idea del perché i greci avessero costruito la città in alto e in un luogo sicuro e oltretutto favoloso. Tali rampe iniziano nel centro della via Chiatamone e, salendo a zigzag, sulle case che sono per metà costruite nelle caverne e per metà all’esterno, arrivano fino al Monte Echia, ad un’altezza di 56 metri sul livello del mare. Sbirciando tra le finestre aperte, si riesce talvolta a vedere queste suggestive costruzioni che sembrano sospese nelle grosse grotte create dai greci quasi tremila anni fa. E sembra di vivere in una favola, soprattutto se si visita la zona di sera, quando le luci nelle case sono accese e si riesce a vedere la grandiosità delle antiche spelonche che fanno da sfondo alle case degli abitanti delle rampe. Man mano che si salgono queste rampe, camminando letteralmente sui tetti delle case senza neanche rendersene conto, il panorama si fa sempre più spettacolare. Appare alla vista la pittoresca Villa Ebe, con il suo stile neogotico, abbarbicata sul dirupo del Monte Echia, quasi sospesa nel vuoto. Qui l’eclettico architetto Lamont Young, che aveva concepito la villa come dono per la moglie, dopo aver riempito la città di bellissime sue opere, decise di porre fine alla sua vita forse per seguire lo stesso destino di Parthenope.
Salendo un po’ oltre e voltandosi a guardare il golfo di Napoli, lo sguardo spazia tra la splendida visione della collina di Posillipo, punteggiata dalle eleganti e nobili dimore, e la cosiddetta villa comunale con il suo verde interrotto dalle sinuose statue di marmo bianco. Si sale ancora ed ecco che si incontrano i resti antichi della favolosa villa di Lucio Licinio Lucullo che, in epoca romana, arrivò a coprire l’intera collina di Pizzofalcone, sostituendosi all’intera antica città di Parthenope. E’ un peccato che della villa sia rimasta solo parte di un ninfeo e poche mura ma, secondo le fonti antiche, questa villa era una delle più maestose e splendide dell’età romana, talmente sfarzosa e ricca che ancora oggi quando intendiamo dare un significato eclatante a qualcosa lo definiamo “luculliano”, specialmente se si tratta di un lauto pranzo. Lucullo aveva infatti compreso che la vita è un piacere e va vissuta alla grande e così, creando una monumentale villa che, partendo dall’isolotto di Megaride, saliva sul Monte Echia e discendeva di nuovo fino a portarsi in prossimità dell’attuale Maschio Angioino, si circondò addirittura di vasche per la coltivazione di murene, orate e ostriche che gli piacevano da morire. La villa di otium da lui creata gli consentiva di dedicarsi alla letteratura, alla scienza, all’arte e alla filosofia. L’immenso giardino da lui ideato ospitava piante rare e da frutto come ad esempio il pesco, da lui stesso importato dalla Persia, l’albicocco e il ciliegio, importati in seguito dall’Asia. Vi erano poi fontane e laghetti che prendevano acqua direttamente dal fiume sotterraneo che ancora oggi scorre sotto Pizzofalcone. Si dice poi che la sua divenne una dimora imperiale dove l’ultimo imperatore Romolo Augustolo spese parte del suo tempo prima di finire i suoi giorni nella prigione di Castel dell’Ovo.
Percorrendo il sentiero che fiancheggia i resti della immensa villa, lo sguardo viene attratto verso sud da una visione spettacolare: il Vesuvio, la penisola di Sorrento, l’isola di Capri e la sottostante città di Napoli. E circondati da questa splendida cornice, ci incamminiamo lungo le strette vie del borgo di Pizzofalcone. Qui, in epoca medievale, furono costruiti importanti monasteri, alcuni dei quali sono ancora attualmente utilzzati per gli scopi più disparati. Tra di essi, in particolare, è da notare quello di Santa Maria Egiziaca con la attigua bella chiesa di stile barocco progettata dall’architetto Cosimo Fanzago. La chiesa, la cui entrata è posta all’interno di un cortile, presenta una scala monumentale ed ha sull’altare maggiore una pregevole opera di Andrea Vaccaro che rappresenta Santa Maria Egiziaca.



Ritornati sulla via, incontriamo i cosiddetti “bassi”, quelle tipiche dimore napoletane a piano terra, costituite da una sola semplice stanza, con porta a bandiera (porta e finestra unite), che fa da appartamento intero per una famiglia anche con bimbi. La stanza da letto, infatti, è inglobata nella stanza da pranzo dove c’è anche l’angolo cottura. Solo il bagno è un piccolo locale a parte. Immagini del genere forse si son viste anche nella famosa pellicola “I bastardi di Pizzofalcone” che ha riscosso enorme successo e che è ambientata in alcuni edifici di quest’area, come ad esempio il palazzo della sezione militare dell’archivio di stato, dimora, nel film, dell’ufficio del commissario Lojacono e il monumentale palazzo Serra di Cassano, con la sua imponente scala, progettato da Ferdinando Sanfelice. Questo particolare edificio ci ricollega di nuovo all’archeologia essendo stato ritrovato, al suo interno, uno studio d’arte collegato con il passaggio segreto ideato da Ferdinando IV di Borbone come luogo di fuga in caso di problemi nel vicino palazzo reale, viene arricchito di un’altra apertura che consente di unire nuovo e antico in un unico luogo coinvolgente e misterioso dove le storie vere si mescolano ancora una volta con la magia.
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